La scoperta, nel dicembre del
2013, della mutazione Calreticulina (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3966280/)
, successiva alle già note mutazioni di Jak2 e di Mpl individuate nel 2015, ha
permesso di identificare la base molecolare di circa il 70/80% dei pazienti
affetti da trombocitemia essenziale e mielofibrosi.
Ciò ha portato all’introduzione
del termine “tripli negativi” (concetto già utilizzato nei tumori della
mammella) per identificare quel sottotipo di pazienti (circa il 20/30%) non
affetti dalle tre mutazioni driver, ma con un quadro clinico e istopatologico
astrattamente compatibile con una neoplasia mieloproliferativa cronica.
Tuttavia, è emerso in maniera
evidente come i pazienti “tripli negativi” con TE abbiano un decorso clinico
particolarmente indolente, se rapportato ai pazienti affetti da una delle tre
mutazioni driver:
in particolare, viene registrato in tutti gli studi un minor tasso di eventi tromboemorragici e, nel lungo termine, un’aspettativa di vita sovrapponibile a quella della popolazione sana; diversamente, i pazienti con MF “tripli negativi” costituiscono un sottogruppo a prognosi sfavorevole e con una sopravvivenza significativamente ridotta, la cui recente individuazione permette, tuttavia, un approccio terapeutico più immediato e aggressivo.
in particolare, viene registrato in tutti gli studi un minor tasso di eventi tromboemorragici e, nel lungo termine, un’aspettativa di vita sovrapponibile a quella della popolazione sana; diversamente, i pazienti con MF “tripli negativi” costituiscono un sottogruppo a prognosi sfavorevole e con una sopravvivenza significativamente ridotta, la cui recente individuazione permette, tuttavia, un approccio terapeutico più immediato e aggressivo.
Due recentissime pubblicazioni (http://www.bloodjournal.org/content/127/3/325.abstract
e http://www.bloodjournal.org/content/127/3/333.abstract)
hanno individuato, nel 10% circa dei pazienti tripli negativi affetti da TE o
MF, nuove mutazioni a carico di Jak2 e Mpl, andando quindi a colmare
ulteriormente questa lacuna; un’analisi approfondita ha inoltre consentito di
individuare, in un restante 35%, la presenza di una trombocitosi clonale in
questi pazienti, portatori, dunque, di mutazioni che spesso si riscontrano
nelle malattie del sangue ma non considerate driver come Jak2, Calr ed Mpl:
alcune con un impatto irrilevante sul decorso della malattia, altre
particolarmente aggressive, quali Asxl1 e Tp53.
Nonostante la difficoltà di
tradurre nella comune pratica clinica i numerosi e crescenti dati in questo
sottogruppo di pazienti, appare evidente che se da un lato il restante 55% dei
pazienti affetti da TE possa in realtà costituire una categoria affetta da una
trombocitosi non clonale (e questo spiegherebbe la prognosi estremamente
favorevole di questi pazienti e la probabilità, in futuro, di riflettere sulla
necessità di un trattamento citoriduttivo in soggetti che potrebbero non averne
necessità), dall’altro una considerevole percentuale di pazienti con MF tripli
negativi merita una particolare attenzione in virtù dell’aggressività della
malattia in questi soggetti, per i quali andrebbe considerata l’opzione
trapiantologica ove compatibile con il quadro clinico del paziente o l’arruolamento
in uno dei 145 trials (numero quadruplicato nell’ultimo decennio, grazie ai
tumultuosi progressi della ricerca scientifica nel settore delle
mieloproliferative) attivi nell’ambito della MF (https://clinicaltrials.gov/ct2/results?term=myelofibrosis&recr=Open&no_unk=Y).
(D.S.)
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