martedì 3 maggio 2016

I pazienti "tripli negativi" nelle neoplasie mieloproliferative croniche (di D.S.)


La scoperta, nel dicembre del 2013, della mutazione Calreticulina (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3966280/) , successiva alle già note mutazioni di Jak2 e di Mpl individuate nel 2015, ha permesso di identificare la base molecolare di circa il 70/80% dei pazienti affetti da trombocitemia essenziale e mielofibrosi.
Ciò ha portato all’introduzione del termine “tripli negativi” (concetto già utilizzato nei tumori della mammella) per identificare quel sottotipo di pazienti (circa il 20/30%) non affetti dalle tre mutazioni driver, ma con un quadro clinico e istopatologico astrattamente compatibile con una neoplasia mieloproliferativa cronica.
Tuttavia, è emerso in maniera evidente come i pazienti “tripli negativi” con TE abbiano un decorso clinico particolarmente indolente, se rapportato ai pazienti affetti da una delle tre mutazioni driver:
in particolare, viene registrato in tutti gli studi un minor tasso di eventi tromboemorragici e, nel lungo termine, un’aspettativa di vita sovrapponibile a quella della popolazione sana; diversamente, i pazienti con MF “tripli negativi” costituiscono un sottogruppo a prognosi  sfavorevole e con una sopravvivenza significativamente ridotta, la cui recente individuazione permette, tuttavia, un approccio terapeutico più immediato e aggressivo.
Due recentissime pubblicazioni (http://www.bloodjournal.org/content/127/3/325.abstract e http://www.bloodjournal.org/content/127/3/333.abstract) hanno individuato, nel 10% circa dei pazienti tripli negativi affetti da TE o MF, nuove mutazioni a carico di Jak2 e Mpl, andando quindi a colmare ulteriormente questa lacuna; un’analisi approfondita ha inoltre consentito di individuare, in un restante 35%, la presenza di una trombocitosi clonale in questi pazienti, portatori, dunque, di mutazioni che spesso si riscontrano nelle malattie del sangue ma non considerate driver come Jak2, Calr ed Mpl: alcune con un impatto irrilevante sul decorso della malattia, altre particolarmente aggressive, quali Asxl1 e Tp53.
Nonostante la difficoltà di tradurre nella comune pratica clinica i numerosi e crescenti dati in questo sottogruppo di pazienti, appare evidente che se da un lato il restante 55% dei pazienti affetti da TE possa in realtà costituire una categoria affetta da una trombocitosi non clonale (e questo spiegherebbe la prognosi estremamente favorevole di questi pazienti e la probabilità, in futuro, di riflettere sulla necessità di un trattamento citoriduttivo in soggetti che potrebbero non averne necessità), dall’altro una considerevole percentuale di pazienti con MF tripli negativi merita una particolare attenzione in virtù dell’aggressività della malattia in questi soggetti, per i quali andrebbe considerata l’opzione trapiantologica ove compatibile con il quadro clinico del paziente o l’arruolamento in uno dei 145 trials (numero quadruplicato nell’ultimo decennio, grazie ai tumultuosi progressi della ricerca scientifica nel settore delle mieloproliferative) attivi nell’ambito della MF (https://clinicaltrials.gov/ct2/results?term=myelofibrosis&recr=Open&no_unk=Y).

(D.S.)

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