giovedì 4 maggio 2017

MIELOFIBROSI - NUOVI AGENTI E STUDI DI COMBINAZIONE


di Antonella Barone 

Cambiare le strategie - Due stati d’animo ricorrono puntualmente nelle platee dei convegni per pazienti con malattie mieloproliferative croniche Ph- (MPN): fiduciosa attesa verso la relazione che ogni programma che si rispetti riserva alle novità della ricerca e depressione dell’umore generale al suo termine.
Negli ultimi tempi gli estremi di questa bipolarità si sono però attenuati: le aspettative, da grandi (dopo l’approvazione del ruxolitinib) e poi fiduciose, sono divenute caute mentre c’è già chi dichiara il proprio disincanto verso una svolta decisiva nella cura della mielofibrosi.
Non sfugge neanche ai più attenti che lo spazio dedicato ai trapianti in incontri, seminari e convegni sembri essere aumentato, certo a seguito della diffusione delle nuove linee guida e di nuovi dati, ma  anche perché la grande promessa rappresentata per qualche anno dagli inibitori di JAK2 pare essersi notevolmente ridimensionata.
In realtà la ricerca va avanti e consegue nuove importanti tappe, solo che i suoi tempi non coincidono con quelli degli ammalati. Una malattia neoplastica, per quanto densa ancora di interrogativi su diagnosi e prognosi che possono far sperare in decorsi più lunghi e benevoli, porta comunque ad aggiornare il proprio calendario esistenziale, ad individuare nuove ricorrenze (biopsia, diagnosi, inizio terapia), ad anticipare alcuni progetti e a pensare con ansia a quelli più lontani. Insomma, la notizia della scoperta di una molecola che ha rinvigorito dei ratti e che tra qualche lustro si potrebbe sperimentare sugli uomini non necessariamente provoca reazioni esultanti nei pazienti.

 Inutile negare  che questa fase della ricerca è quella dell’approfondimento e non di nuove scoperte che in tempi ragionevoli lascino sperare in una sconfitta della mielofibrosi.
Convegni, incontri e seminari non devono servire però solo ad annunciare farmaci decisivi, ma anche a fornire obiettivi realistici ai pazienti e portarli a comprendere che convivere meglio e più a lungo possibile con la malattia significa in un certo senso sconfiggerla.
Il vocabolario del mondo dei “sani” e dei media non aiuta in questo. La narrazione tutta delle malattie neoplastiche, anche quella più raffinata ed “evoluta” non sfugge al topos “guarire o morire”. E pensare che “la parola guarire compare nell’antico spagnolo come Guarecer, da Garir, derivante dal  germanico Varian, da cui Wher, difesa, o Ware in inglese (che indica la consapevolezza, ad esempio to be aware). In antichità guarire significa preservare, difendere, salvare dal male, attraverso il guardare, diventare consapevoli” (Enrica Poli, Curarsi, curare …o guarire – ilfattoquotidiano.it )
 Convegni, incontri, gruppi social, blog e chat dovrebbero servire a fornirci strumenti di conoscenza della malattia ma anche strumenti per conservare o migliorare le condizioni generali della salute fisica e psichica, perché in caso di avanzata del nemico meglio conoscerne le armi e farsi trovare più forti per fronteggiarle.
 Osservati in questa prospettiva, anche gli aggiornamenti sulla ricerca, se non eclatanti possono comunque essere incoraggianti e sembrano indicare soprattutto una nuova strategia: il passaggio ad una guerra di posizione che logori il nemico preservando noi stessi.
Ed ora gli aggiornamenti.

Gli studi dicombinazione con il ruxolitinib -Mirano ad ottenere grazie alla sinergia di due o più farmaci non una somma di effetti ma un’efficacia aggiuntiva. Sono utilizzati come valide terapie in molti altri tumori. Clinicaltrials.gov elenca più di una dozzina di fasi attive 1 e 2 di studi di  combo tra ruxolitinib e un secondo agente per la mielofibrosi.
Tra questi secondi farmaci vi sono alcune categorie particolarmente rilevanti:
  • farmaci che inibiscono il delta PI3K, un gene che regola il PI3K / AKT, percorso di segnalazione che coopera con JAK / STAT nella proliferazione cellulare
  • gli inibitori dell'istone deacetilasi (HDAC), che hanno dimostrato un’attività di modesta entità come singoli agenti nella MF
  • agenti immunomodulatori, come la lenalidomide, efficace contro un sottogruppo di casi mielodisplasie ma dei quali non è stata non è stato dimostrato nella MF analoga efficacia come un agente unico
  • farmaci che inibiscono l’hedgehog pathway, un'altra via di segnalazione che controlla la crescita e la maturazione delle cellule.
Altri studi combinati cercano di sfruttare gli effetti di ruxolitinib con la chemioterapia o con interferone pegilato.
Promettente anche la sperimentazione presentata dal dott. Raajit Rampa all’assemblea annuale 2016 ASH che prevede l'aggiunta di due nuovi agenti, PIM447 (un inibitore della PIM chinasi) e LEE001 (a CDK4 / 6) alla terapia con ruxolitinib. Questa combinazione di tre farmaci ha mostrato una forte attività antitumorale, senza tossicità, nei modelli preclinici di mielofibrosi.
(Fonte: Pair it up, John Crispino, Newsletter MPN Research Foundation -Spring 2017)
Sempre ad ASH 2016un certo  interesse ha suscitato la presentazione dei dati sul combo ruxolitinib + azacitidina (Daver et al) condotto su 44 pazienti con MF con score DIPSS intermedio-1, intermedio-2 o alto, non precedentemente trattati con ruxolitinib o azacitidina : una rilevante percentuale della risposta secondo i criteri dell'IWG-MRT A 24 si è verificata dopo l'aggiunta di azacitidina, suggerendo un possibile ruolo di tale farmaco nel migliorare le risposte cliniche.
Gli studi di combinazione (ruxolitinib + altro farmaco) attualmente attivi sono i seguenti (fonte: www.progettoagimm.it):
Ruxolitinib e lenalidomide +/- prednisone, arruolamento chiuso (Stati Uniti).
Ruxolitinib e talidomide, attivo (Stati Uniti).
Ruxolitinib e pomalidomide, attivo (Germania).
Ruxolitinib e peg-interferone alfa-2a, attivo (Francia).
Ruxolitinib e vismodegib (Erivedge), attivo (Firenze, Torino, Varese nella fase 2).
Ruxolitinib e decitabina nel trattamento delle fasi accellerate di o dell'evoluzione leucemica post neoplasia mieloproliferativa cronica, attivo (Stati Uniti).
Ruxolitinib e decitabina nel trattamento della leucemia acuta mieloide (nella fase 2 dello studio vengono inclusi solo pazienti con leucemia acuta mieloide post-neoplasia mieloproliferativa cronica o post-MPN/MDS), attivo (Stati Uniti).
Ruxolitinib e INCB050465, attivo (Stati Uniti).
Ruxolitinib e pracinostat, attivo (Stati Uniti).
Ruxolitinib e danazolo, arruolamento chiuso (Stati Uniti). Dati preliminari non particolarmente significativi.
Ruxolitinib + TGR-1202 (inibitore di PI3K delta) - attivo (Stati Uniti) - dati preliminari presentati da Moyo et al, ASH 2016: sono stati presentati i dati relativi a 12 pazienti arruolati in uno studio di combinazione con Ruxolitinib e TGR-1202 (studio di dose finding e di safety). Venivano inclusi nello studio pazienti con MF caratterizzata da score DIPSS intermedio-1, intermedio-2 o alto e con risposta insufficiente a ruxolitinib. Eventi avversi descritti: tossicità ematologica (non citopenie di grado 3/4 giudicate correlate al trattamento), aumento di amilasi e lipasi (anche di grado 3 in paziente asintomatico), lieve aumento delle transaminasi, diarrea, mucosite, polmonite e sepsi. Per quanto valutabile in questo tipo di studio l'83% dei pazienti ha avuto un miglioramento clinico.
Ruxolitinib e PIM447 e LEE011, attivo (Firenze).

(I risultati di questi studi per la maggior parte non sono ancora disponibili e saranno gradualmente presentati ai prossimi convegni.


Delusioni e nuove speranze  -Sperimentazioni travagliate per due agenti inibitori di Jak: pactrinib (Biopharma) e momelitonib (Gilead)
La sospensione dei trial del primo, chiesta Food and Drug Administration a febbraio 2016, è stata revocata a gennaio scorso a seguito di  relazioni presentate dalla società Biotech comprendenti anche la proposta di un nuovo protocollo PAC203.
Lo studio prevede l'arruolamento di fino a 105 pazienti con mielofibrosi primaria che non hanno risposto a una precedente terapia con ruxolitinib per valutare la sicurezza e la relazione dose-risposta per quanto riguarda l'efficacia (riduzione del volume splenico a 24 settimane).La società prevede di iniziare lo studio nel secondo trimestre del 2017.
Strada in salita si prevede anche per l’altro inibitore emergente, il momelitonib, che non avrebbe riportato significativi vantaggi nel confronto con le migliori terapie disponibili. 
L'imetelstat (farmaco inibitore della telomerasi) infine è stato riammesso ad una cauta ripresa degli studi per approfondire aspetti relativi al dosaggio. A fronte di risposte (peraltro controverse) sull’anemia e sulla fibrosi e di un caso di remissione totale nello studio condotto su 33 pazienti, resta la tossicità epatica ed ematologica in aggiunta al rischio di reazioni infusionali e di eventi infettivi (21%).
Ma per alcuni agenti che rischiano di essere licenziati altri aspirano a conquistare fasi di sperimentazione per le MPN . Tra questi
PRM-151, una pentraxina-2 ricombinante, è un potente agente antifibrotico valutato anche nella mielofibrosi, ben tollerato e senza gravi effetti collaterali.  Uno studio di fase 2 (disegno a quattro bracci, di cui due in associazione con ruxolitinib), condotto in meno di 30 pazienti, ha mostrato che il farmaco ha prodotto un miglioramento dei sintomi e/o una riduzione della fibrosi midollare nel 43% dei casi dopo 24 settimane di trattamento. Un p recente aggiornamento di quella casistica su 13 pazienti trattati per almeno 72 settimane ha dimostrato che PRM-151 continuava a mantenere la risposta sulla riduzione della fibrosi midollare in circa il 70% dei casi con miglioramento di splenomegalia, anemia, piastrinopenia e dei sintomi della malattia. La seconda parte dello studio sta ora valutando l'efficacia e la tollerabilità di PRM-151 come monoterapia nei pazienti con MF resistenti o ineleggibili alla terapia con ruxolitinib.
Ad ASH 2016 arrivano anche due interessanti ipotesi: KPT-330, presentato dal dott.Yan, già noto come sellinexor in trial contro altre forme di cancro e del sotatercept (ACE-011) un farmaco che inibisce la segnalazione di TGF-b e consente la produzione ava di globuli rossi, rappresentando così potenzialmente un valido strumento per combattere l’anemia nella MF
Infine un cenno al sistema crispr-cas9 per apportare modifiche/correzioni al genoma
 e le cui prospettive di applicazione aprono scenari davvero eccitanti.
Sono state avviate le prime applicazioni sull’uomo ed in vitro è già stato possibile ottenere la correzione della mutazione V617F di JAK2 utilizzando il sistema in cellule umane con mutazioni genetiche acquisite. Ma il saggio realismo anche in questo caso ci obbliga a non confidare nell’applicazione terapeutica del sistema almeno nel breve-medio termine.

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